Dall’inizio dell’anno, a causa degli incidenti sui luoghi di lavoro, stanno morendo più persone che api sterminate dai cambiamenti climatici. Al 31 marzo le vittime erano quasi 190.
Dall’inizio dell’anno, oltre 100mila giovani hanno lasciato il loro posto di lavoro a tempo indeterminato perché scontenti non solo del salario, ma soprattutto dell’etica aziendale. Nello stesso periodo e in aumento dal 2019, molti under45 – e non più solo gli under30 – stanno emigrando in Olanda e in Germania, in Spagna e in Scandinavia, perché letteralmente sfibrati da una burocrazia inefficiente (che impiega 14 anni, a titolo di esempio, per sbloccare il primo parco eolico offshore italiano).
Dall’inizio dell’anno, soprattutto nel Mezzogiorno, sono aumentati i neet (dell’1,7%), i giovani che non studiano e che non lavorano, perché non hanno più fiducia nelle Istituzioni locali narcotizzate dal consenso e prive, ancora, della necessaria visione a medio-lungo termine che richiederebbe un radicale cambio di mindset.
Nonostante la Costituzione, in questo nostro amato e disgraziato Paese, il lavoro non è un diritto, ma un privilegio. Lo è soprattutto, tremendamente, in alcuni territori dove questo benefit è assicurato dai clan o dai suoi prestanomi in giacca e cravatta e non dallo Stato.
Le periferie, che dovremmo chiamare poliferie (perché pure le parole sono importanti, oltre ai diritti), sono già e sarebbero uno straordinario laboratorio diffuso di innovazione sistemica perché la creatività emozionale nasce sempre dalla marginalità esistenziale.
L’ascensore, non solo quello sociale, è cosi fermo che può succedere di non accorgersi per diverse ore di chi – come alla Farnesina – è caduto nel suo vano tecnico.
Eppure, mentre sul divano ergonomico della nostra società pigra e vecchia hanno trovato posto i beneficiari del reddito di cittadinanza e molti politici che non hanno mai lavorato in vita loro, nel Paese reale – su impulso di tanti giovani, di donne, di professori e manager illuminati – stanno germogliando una pluralità di iniziative eccezionali che profumano di futuro perché sono attraversate dai semi generativi della prossimità e della sostenibilità.
Tenere insieme economia ed ecologia, innovazione e visione, è possibile. Fare insieme è essenziale. Oggi tutto è interconnesso e tutti sono in relazione.
A quelli che lottano e che fanno ogni giorno nient’altro che il proprio dovere va il mio sincero e grato pensiero in questo primo maggio, in un mondo che predica la pace, ma pratica la guerra.
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