Adoro il bambù. E’ un materiale naturale straordinario per duttilità e versatilità, per sostenibilità e opportunità. Dei suoi usi in architettura ne ho scritto qui, ma non sono i soli. Il bambù, infatti, è potenzialmente uno dei top player della bioeconomia circolare che lentamente si sta imponendo anche nel nostro Paese.
Ecco, dunque, il mio ultimo articolo, pubblicato sul magazine della sostenibilità ambientale che ospita mensilmente le mie riflessioni sull’economia circolare.
Negli ultimi 8 secoli non era mai capitato. Il 4 aprile scorso, nel giorno della Pasqua, la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha raggiunto e superato, per la prima volta, la soglia delle 421 parti per milioni, confermando la crescente difficoltà di carbon sink naturali come il suolo e gli oceani di assorbire le emissioni climalteranti prodotte nell’ultimo decennio dalla nostra aggressiva società antropocenica.
Le laceranti e impattanti conseguenze del cambiamento climatico, dunque, dovrebbero spingere gli organi di governo nazionali ad accelerare la conversione ecologica e la transizione energetica dal vigente modello lineare ancora fortemente incistato dai combustibili fossili al modello circolare notevolmente ispirato dalle rinnovabili e, soprattutto, da materiali naturali e rinnovabili e riciclabili che consentano di “fare pace con la natura”.
Tra i materiali “green” che anche nel nostro Paese, seppur troppo lentamente, iniziano ad avere un discreto consenso, secondo molti studiosi va considerato il bambù (presente in natura con più di 1200 varietà diverse).
Questa pianta, nata in Cina e poi diffusasi enormemente in America Latina – appartenente alla famiglia delle graminacee – permette, infatti, una pluralità di applicazioni – dall’edilizia all’enogastronomia, dalla moda al tessile – che, esaltandone le eterogenee proprietà meccaniche, biologiche e fisiche, ne evidenziano la leggerezza e la resistenza, la duttilità e la flessibilità, la versatilità e l’originalità.
Il bambù, le cui canne possono raggiungere i 40 metri di altezza e i 30 centimetri di diametro, è ideale per chi ambisce a un’edilizia sostenibile perché, a differenza del calcestruzzo armato e pur con un basso peso specifico, lavora ottimamente a trazione e a compressione, tanto da essere stato ribattezzato “acciaio verde” con cui si possono realizzare anche edifici e padiglioni (la resistenza può sfiorare i 12.000 kg/cmq!).
Il suo fitto apparato radicale costituisce una barriera naturale che mitiga il rischio di smottamento, frana, dilavamento del suolo. È un alleato strategico, pertanto, non solo contro i terremoti, ma anche contro il rischio idrogeologico.
Le foglie di un bosco di bambù, inoltre, assorbono anidride carbonica e rilasciano ossigeno come poche altre specie naturali.
I bambuseti, che dal Piemonte all’Emilia-Romagna si sono oggi diffusi anche in Toscana e in Puglia, rappresentano, ancor più in questa stagione storica scandita dalla transizione ecologica, una opportunità per gli imprenditori della green economy che, nei dettami dell’economia circolare, hanno deciso di investire nei settori dell’alimentazione, del design e del tessile.
Il germoglio di bambù, come si evince da alcune pubblicazioni scientifiche, non è apprezzato solo dai panda: è un “superfood” che contiene vitamine del gruppo B, manganese, potassio e silice.
Oltre che telai per le biciclette ed elementi di arredo, infine, con il bambù – chiamato anche “l’ecofibra del XXI secolo” da alcune designer particolarmente creative ed innovative – si realizzano tessuti per borse, scarpe e indumenti.
Il bambù, infatti, è traspirante, assorbe l’umidità ed è anallergico e, quindi, viene preferito, rispetto ad altri materiali, per la sua leggerezza e freschezza.
In conclusione, se l’economia è sempre più influenzata dall’antropologia e dalla sociologia, l’odierna crisi ecosistemica – pandemica e climatica – ci spinga ad interpretarne le criticità come un’opportunità: abbiamo il dovere di accogliere l’ecologia nella nostra vita, abbracciando nuovi stili di vita e nuovi modelli di consumo.