Chissà che Paese sarebbe stato l’Italia se non fossero esplose quelle bombe, il 23 maggio 1992. Chissà che “popolo” avrebbe avuto l’Italia se alle 17.57 di quella calda giornata di 30 anni fa, Giovanni Brusca non avesse spinto il telecomando.
Chissà che magistratura e politica avremmo conosciuto se Giovanni Falcone fosse diventato Procuratore a Palermo al posto di Antonino Meli o alcuni imprenditori milanesi – poi entrati in politica – fossero stati arrestati per le loro accertate relazioni con Cosa Nostra. Chissà.
Oggi apriamo gli ombrelli perché ci sarà un diluvio di dichiarazioni, per lo più ipocrite, in un Paese che ha saputo sconfiggere il terrorismo e ha scelto di convivere con le organizzazioni criminali, tollerandone la prosperità e accettandone l’egemonia culturale in molti territori del Mezzogiorno. In un Mezzogiorno che, fortunatamente, conosce anche importanti orizzonti di cambiamento e di speranza, a cominciare da quella terra meravigliosa che è la Sicilia.
Oggi dalla Sicilia alla Lombardia, passando per la Puglia e l’Emilia Romagna, le mafie – a cominciare dalla ‘ndrangheta – governano i processi politici ed economici, industriali e finanziari, attraverso prestanomi e insospettabili. In molti territori, consunti dalle disuguaglianze, sono nate “borghesie criminali che innestano nell’economia legale ricchezze non giustificate” – per citare alcune relazioni delle Direzioni Distrettuali Antimafia – che impediscono soprattutto alle più giovani generazioni e alle imprese innovative di far germogliare i fiori dell’avvenire.
I rapporti tra mafia e politica sono talmente profondi ed endemici, e le Istituzioni talmente incistate dalla cultura mafiosa, che siamo passati dall’infiltrazione mafiosa della politica all’infiltrazione politica della mafia: con partiti sempre più deboli e poco rappresentativi, i Sindaci e gli aspiranti leader necessitano del supporto criminale per narcotizzare il consenso e silenziare le voci libere. La corruzione è stata talmente interiorizzata che non genera più scandalo.
Anzi sono stati e sono allontanati coloro che denunciano e che non si adeguano; coloro che lottano e sognano un Paese più giusto e onesto; coloro che nel nome di Giovanni e Paolo continuano a fare ogni giorno il proprio dovere sospinti da quel “fresco profumo di libertà” che non prevede l’alienazione della propria dignità.
Dopo 30 anni, l’Italia ha dimostrato di aver dimenticato e rinnegato le parole e le opere di Giovanni Falcone, vissuto ancora oggi non come un simbolo di coraggio, ma come un peso. Il suo sacrificio, forse, è stato completamente inutile?
Eppure, per tanti, nel ricordo di quel sorriso e quello sguardo cosi genuini e puliti, vive con forza e speranza il desiderio di un Paese che, nei principi della Costituzione, non lascia indietro nessuno e permette a chiunque di valorizzare i propri talenti.
Solo insieme, solo se uniti in una autentica reciprocità, potremo rimuovere gli ostacoli e ricostruire questo Paese. Prima o poi, bisognerà farlo per davvero.