In occasione dell’Earth Day 2022, la Gazzetta del Mezzogiorno, che ringrazio per l’ospitalità e per l’opportunità, ha ospitato una mia riflessione. Eccola.
Gli ultimi rapporti dell’Ipcc (il panel intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici) lo hanno rivelato con estrema chiarezza: se le città, che oggi ospitano il 55% della popolazione mondiale e contribuiscono all’inquinamento globale per oltre il 70% pur occupando appena il 3% della superficie terrestre, non ridurranno, entro il 2030, di almeno il 55% le loro emissioni climalteranti, diventeranno, in pochi decenni, assolutamente inospitali e invivibili.
Le cause sono da ricercare nell’innalzamento delle temperature medie oltre la soglia estrema di sicurezza dei 2°C e nell’aumento esponenziale di eventi estremi sempre più intensi e frequenti come alluvioni e isole di calore.
Tra i Paesi della regione euro-mediterranea, purtroppo, l’Italia è particolarmente vulnerabile ed esposta a questi rischi, con una pericolosità aumentata negli ultimi decenni per l’assoluta inconsistenza delle politiche energetiche ed ecologiche sperimentate (con la Puglia e la Sicilia, in particolare, a forte rischio di desertificazione), ed oggi, con le crisi pandemica prima e bellica poi, è stato scoperchiato “il vaso di Pandora” della nostra contemporaneità, rivelando una fragilità sociale e ambientale che non può più essere nascosta o negata.
Nell’odierna 52esima Giornata internazionale della Terra, il suo slogan “Investi nel nostro pianeta” rappresenta l’ennesima buona occasione per evidenziare, pertanto, l’urgenza di adottare un nuovo “mindset”, una nuova coscienza civile che riconosca nell’ecologia integrale – come la chiama Papa Francesco nella lettera enciclica Laudato Si – la visione strategica tanto pragmatica quanto olistica di cui abbiamo bisogno per accompagnare le nostre città in un futuro generativo e inclusivo e per cui, oltre ogni retorica, la giustizia sociale e la giustizia ambientale rappresentino i due volti di una stessa medaglia: quella di una realtà da aumentare attraverso le soluzioni basate sulla natura e le innovazioni sociali elevate dal basso dalla comunità che vive e agisce nei propri territori.
Non poche pubblicazioni scientifiche, ormai, documentano l’intima e intrinseca correlazione tra bellezza fisica dei luoghi e benessere psicologico di chi quei luoghi li abita e li abilita.
Se quanto premesso fosse condivisibile, dunque, perché a Bari si continua ad accettare supinamente e passivamente la sua dissennata e disordinata cementificazione, in assenza di un nuovo Piano Urbanistico, che sta producendo, non solo nelle dimenticate periferie, dispersione urbana e desolazione umana? Perché in una città che continua a perdere popolazione non è possibile ottenere da anni uno strumento flessibile e moderno come il censimento del patrimonio edilizio esistente che orienti le politiche di riqualificazione e rifunzionalizzazione del costruito, evitando di alienare i processi di rigenerazione urbana che non consistono nella mera sostituzione edilizia di strutture fatiscenti?
Perché la gestione dei processi urbanistici e dell’edilizia, in un territorio già trasfigurato dal Piano Casa, non è illuminata dal paradigma dell’economia circolare, come avviene a Barcellona, a Berlino o ad Amsterdam, nell’attenzione alle materie prime e naturali sempre più limitate? Perché la legge 10/2013 che prevede obbligatoriamente la piantumazione di un nuovo albero per ogni nuovo nato non è rispettata, insieme alla misura di un Piano del Verde che stabilisce le modalità di gestione e di valorizzazione del patrimonio arboreo? Perché, oltre al bilancio economico, non viene elaborato, come succede in diverse città europee, un bilancio sociale e ambientale che valorizzi sia la partecipazione sia i servizi ecosistemici che la natura offre ai cittadini?
Evolute ricerche internazionali come il “Manuale europeo per le revisioni locali volontarie degli SDG” (dossier realizzato dal Joint Research Centre (JRC) della Commissione europea, in collaborazione con il Programma delle Nazioni Unite, sul monitoraggio delle azioni locali ispirate dagli obiettivi di sviluppo sostenibile) o il dossier “The Ecosystem Restoration Playbook” (che presenta una pluralità di buone pratiche da adottare e da copiare) andrebbero studiate approfonditamente dalla nostra Amministrazione perché indicano la via da seguire per una “conversione ecologica socialmente desiderabile” e una transizione energetica economicamente vantaggiosa.
Nessuno deve rimanere indietro e tutti devono comprendere che senza natura non ci potrà mai essere un futuro diverso per le nostre città.
P.s. Anche il Tgr Rai della Puglia ha accolto qualche mia riflessione per la Giornata mondiale della Terra. Qui per ascoltarla.
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